Se, come pare, dovrà intervenire lo Stato attraverso la Cassa Depositi e Prestiti per garantire l'inoptato dell'aumento di capitale di BPVi e Veneto Banca, a questo punto non scandalizzerà un intervento diretto dello Stato per rimborsare i soci truffati dei due istituti. Come nel caso Etruria e dintorni.
I veneti non possono prenderla in culo due volte: prima dando soldi per sottoscrivere gli aumenti di capitale delle due banche (nel 2013 e nel 2014 entrambi bruciati) e poi dando ancora soldi (pubblici) della Cassa Depositi e Prestiti per sottoscrivere l'inoptato dei prossimi aumenti e che sarà molto alto. I due consorzi di garanzia infatti, almeno quello targato Unicredit per BPVi, non intendono accollarsi questo onere, per non abbassare ulteriormente i propri ratios patrimoniali con il rischio di dover approntare essi stessi, nuovi aumenti di capitale. Neppure i "grandi" soci del territorio sembrano avere, in questo momento, spalle abbastanza forti da supportare le operazioni, se non per importi modesti. Quindi per non far naufragare BPVi (quella messa peggio) non resta che utilizzare i soldi dei risparmi postali contenuti in CDP. Di fatto un aiuto pubblico mascherato. Meglio aiutare le due Popolari che non farle saltare con conseguenze incalcolabili per il nostro (malmesso) sistema bancario. Ma allora a questo punto si dovranno aiutare anche i tanti soci buggerati con un fondo ad hoc come previsto nel caso Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti. I veneti non possono essere anche stavolta becchi e bastonati.
A meno che non intervengano nuovi soci che con denaro non pubblico intendano ricapitalizzare le due Popolari. Una ipotesi che, nell'attuale quadro finanziario, appare piuttosto improbabile.
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